In un Paese in cui il mercato del lavoro si muove lentamente, e con sempre meno certezze, la scelta di molte persone di buona volontà che vogliano mettere a frutto studio, capacità e buone idee è quella di “mettersi in proprio”, come si suol dire, ovvero creare una propria impresa, la cui attività può anche avere un forte carattere di innovazione (il fiorire di bandi di sostegno alle Start-Up ha fortemente influenzato tale tendenza).
Se l’impresa lavora bene probabilmente dovrà presto fare i conti con una mole di affari tale per cui l’impegno del solo titolare o degli eventuali soci non sarà più sufficiente, ma si dovrà valutare seriamente di assumere uno o più dipendenti, a tempo determinato o indeterminato, così da gestire meglio i processi produttivi. Ma l’assunzione di un dipendente può, specie per un’impresa di piccole dimensioni, costituire un impegno economico non indifferente.
Cerchiamo di capirci qualcosa di più.
I contratti di lavoro possono essere categorizzati principalmente sulla base di due fattori:
- la loro durata nel tempo, e quindi si parla di assunzioni a tempo determinato o indeterminato;
- la quantità di ore impegnate dal lavoratore nella settimana (o nel mese), e quindi si parla di lavori part time o full time.
A queste tipologie, storicamente immanenti nel nostro ordinamente giuslavoristico, si sono affiancate nel tempo delle altre tipologie di assunzione, generalmente riservate a mansioni e categorie ben definite: lavori a chiamata (usati spesso in ambito alberghiero e nella ristorazione); lavori a progetto (o co.co.pro., utilizzati primariamente nel settore dei servizi di call center outbound); lavori di tipo meramente occasionale (collaborazioni ben delimitate nel tempo e che non hanno alcun carattere di continuità o ricorsività nel rapporto tra lavoratore e datore di lavoro). La disciplina di queste categorie è soggetta spesso a modifiche e adattamenti, volti a garantire diritti fondamentali al lavoratore, che spesso si trovava in una situazione di svantaggio per via delle lacune normative che li contraddistinguevano.
Ovviamente, prima di valutare una assunzione per un periodo più o meno lungo, è utile accertarsi di due cose:
Per questo è possibile prevedere un periodo di prova nel contratto di assunzione, in cui, oltre che adeguatamente formato, il dipendente verrà valutato dal responsabile dell’impresa sotto vari aspetti. Alla fine del periodo di prova, sulla base di una scheda di valutazione che il dipendente ha diritto a conoscere, si valuterà se confermare l’assunzione.
Alla stessa maniera, il periodo di prova è utile al dipendente per capire se l’ambiente di lavoro e l’attività siano confacenti alle sue esigenze e se la mission aziendale sia compatibile con i suoi personali valori personali.
Inoltre, è bene ribadirlo, il periodo di prova è successivo alla firma del contratto di assunzione, quindi il dipendente è “assunto in prova” con piena retribuzione ed eventuali benefit previsti dal CCNL della categoria di riferimento. Il buon esito della prova è la condizione confermativa dell’assunzione, ma non annulla nessuno degli effetti che la stessa ha avuto dal momento della firma del contratto.
Al riguardo è bene fare un po’ di chiarezza: il tirocinio formativo, o stage che dir si voglia, NON è un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato. Lo stage è un periodo formativo, di durata variabile e limitata (generalmente 6 mesi, ma per alcune categorie sono previsti anche 12 o 24 mesi), che ha lo scopo di fornire un’istruzione tecnico-pratica ai fini dell’avviamento al lavoro. Lo stagista può percepire un rimborso spese per viaggi e spostamenti necessari allo stage, oltre che per le spese di mensa, o un forfettario generico (tassato in tal caso come reddito assimilato a quello da lavoro) ma non ha retribuzione, ferie, benefit contrattuali. All’interno dell’impresa deve essere identificato un Tutor con competenze accertate che guidi lo stagista al conseguimento degli obiettivi formativi previsti dal contratto di stage. Lo stagista deve essere coperto da assicurazione INAIL a carico del datore di lavoro. Le aziende fino a 5 dipendenti possono avere un solo tirocinante, da 6 a 19 dipendenti 2 tirocinanti, oltre 19 dipendenti non oltre il 10% di stagisti rispetto al numero di dipendenti.
Un dipendente, come abbiamo detto, ha un impatto economico rilevante sulla vita di un’impresa.
Oltre allo stipendio, che va definito sulla base dei vari CCNL (Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori) di categoria, che inquadrano mansioni, livelli di responsabilità, benefit e retribuzione mensile lorda minima per un contratto di lavoro a tempo pieno, bisogna considerare versamenti previdenziali e per la cassa infortuni, quote di TFR, tredicesima e quattordicesima (quest’ultima sostituita in alcuni settori, specie nel pubblico, da premi produzione annuali quantificabili secondo vari fattori generalmente frutto di contrattazione sindacale nazionale e territoriale).
I contributi previdenziali INPS e INAIL dovuti dal datore di lavoro corrispondono a circa il 31% della retribuzione lorda, mentre il 15% sono a carico del dipendente. Il datore di lavoro dovrà poi pagare anche tredicesima e quattordicesima mensilità, e versare gli accantonamenti per il TFR, i quali peraltro sono rivalutati annualmente. Gli importi di tredicesima e quattordicesima sono indicati nei vari CCNL.
Allo stato attuale, procedendo con un calcolo che tenga conto di una media dei trattamenti minimi previsti dai vari CCNL, si può dire che per il datore di lavoro il costo medio per dipendente è pari a quasi il doppio di quanto il lavoratore si va a trova di netto in busta paga.
Bisogna poi considerare costi ricorrenti relativi al mantenimento delle condizioni di sicurezza sul lavoro, all’acquisto di attrezzature lavorative e di protezione per i dipendenti, e all’eventuale costo senza produzione corrispondente costituito dalle ferie dei dipendenti.
Sul blog della DANEA, software house produttrice di alcuni dei più importanti programmi di gestione aziendale, si può trovare una disanima molto attenta dei costi aziendali di un dipendente, e varie integrazioni e aggiornamenti che potranno aiutare ad orientarsi meglio nelle scelte imprenditoriali.
Anche in questo caso, bisogna valutare mansioni, continuità e “costi di gestione” del lavoratore. Un lavoratore a Partita IVA, dovendosi far carico autonomamente di oneri previdenziali e costi di contabilità della propria attività, avrà un costo più alto. Inoltre, il collaboratore a Partita IVA è caratterizzato da autonomia (sia per gli orari che per il luogo di svolgimento dell’attività) e non univocità del rapporto di lavoro. Quindi potrebbe essere una opzione nel caso di un part time o di un lavoratore a chiamata (sempre che si possa garantire l’autonomia dell’organizzazione del lavoro), ma non è il caso di lavoratori che debbano obbligatoriamente lavorare presso la sede dell’azienda e in orari fissati dal datore di lavoro. Potrebbe essere preferibile, in tal caso rivolgersi ad agenzie di somministrazione di lavoro (o agenzie interinali che dir si voglia).